Da i “Racconti di Porto d’Anzio”: Il sottomarino turco, l’incredibile avventura di un motopesca
Era una bella giornata del 1990 e già di primo mattino ad Anzio le paranze si preparavano a uscire dal porto per navigare verso le zone di pesca. Il mare era calmo, il cielo sereno e il lavoro procedeva come al solito.
La motopesca Jachino Sferlazzo era diretto verso le acque dei gamberi rossi, in un fondale che va dai trecento ai cinquecento metri di profondità. Appena giunti sul posto, i marinai calarono le reti. D’un tratto il peschereccio ebbe uno scossone inaspettato. Si pensò immediatamente a un problema di afferratura, quando la rete s’impiglia sul fondo durante la cala e blocca l’imbarcazione. Invece la paranza iniziò a navigare in senso inverso, lasciando stupito tutto l’equipaggio. Il comandante, Raimondo Sferlazzo, provò a rimettere a tutta forza la marcia in avanti ma uno dei due cavi di acciaio collegati alla rete si spezzò e la barca sbandò paurosamente su un fianco, rischiando così di capovolgersi.
A bordo tutti pensarono di aver pescato una balena e, mentre il cavo rimasto veniva pian piano recuperato, si osservava la superficie del mare cercando di capire cosa si fosse impigliato nella rete. A picco, sotto la poppa tra le acque limpide, salì a galla un sottomarino che sfiorò la fiancata del peschereccio. La rete e i cavi di acciaio si erano impigliati attorno al sommergibile, talmente grande da poter utilizzare la paranza come scialuppa di salvataggio.
Dalla torretta uscirono il comandante e alcuni marinai che parlavano una lingua incomprensibile ma a gesti chiedevano di essere liberati dai cavi che li tenevano prigionieri. L’equipaggio della paranza si prodigò a districarli dalla rete e il sottomarino s’inabissò, sparendo per sempre.
Il comandante della motopesca prese i numeri d’identificazione del mezzo e una volta giunto in porto si recò alla Capitaneria per denunciare l’accaduto. Dopo le dovute ricerche si venne a sapere che il sottomarino era di nazionalità turca e proveniva dalla base NATO di Napoli. Durante un’esercitazione militare si era ritrovato per sbaglio in acque territoriali italiane, violando senza volerlo il confine di venti miglia dalla costa.
Il motopesca perse la rete, i divergenti e i cavi d’acciaio ma fortunatamente i marinai ebbero salva la vita. In caso di naufragio e così lontani dalla costa nessuno avrebbe potuto salvarli.
Tutto l’accaduto fu messo a tacere e questo racconto ne è la prima e unica testimonianza.
Questo racconto, pubblicato con l’autorizzazione dell’autore, è tratto dal libro “RACCONTI DI PORTODANZIO ” di Ciro Spina, edito dall’Associazione Culturale 00042