Disservizio nella raccolta dei rifiuti, possibile il diritto alla riduzione della tariffa?

di Eduardo Saturno

In tempi passati si è molto discusso circa la legittimità della Tarsu prima e della Tia successivamente. Ma la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 17334/2020 ha ribadito che il pagamento della tassa sia da corrispondere a prescindere dal fatto che l’utente si serva o meno del servizio stesso, decretando pero’ nel contempo il principio generale secondo il quale il servizio di raccolta dei rifiuti, debba essere imprescindibilmente svolto in modo regolare, affinché vi sia la piena fruizione dello stesso da parte degli utenti.

Ed è per tale motivo che la tassa sui rifiuti, è, “de facto”, un’imposta che il singolo individuo è obbligato a versare in relazione all’espletamento da parte dell’ente pubblico di un servizio reso nei confronti di tutta la collettività e non già in relazione a prestazioni fornite ai singoli utenti.

D’altronde, si legge nella sentenza, che «sarebbe oggettivamente contrario al sistema di determinazione del tributo, pretendere di condizionare il pagamento al rilievo concreto delle condizioni di fruibilità dello stesso, che oltre ad essere di difficile individuazione, di fatto poco si presterebbero a una valutazione economica atta a garantire un’esatta ripartizione dei costi tra l’utenza».

In altre parole, per la Suprema Corte, qualora il servizio non venisse svolto in modo regolare, venendo meno le condizioni che consentono di poterne fruire in modo pieno, nascerebbe l’esigenza di «temperare» la tassazione, in ogni caso pretendibile, armonizzando i costi generali del servizio, di cui essa tiene conto, con i costi che il cittadino è tenuto a sostenere per far fronte al disservizio subìto a causa della mancata/parziale raccolta. Il tutto, attraverso una riduzione della stessa sino al 60 per cento, questo a prescindere dall’esistenza di un regolamento comunale che espressamente la preveda.

Tale riduzione tariffaria quindi non si orienterebbe a contemplare un risarcimento del danno conseguente alla mancata raccolta dei rifiuti, tantomeno quale sanzione per l’Amministrazione inadempiente, ma risponderebbe al diverso fine di regolamentare l’imposizione entro la percentuale massima di riduzione già individuata dalla norma, che in materia di Tari, è riferibile a quanto previsto dell’articolo 1, commi 656 e 657, della legge 147/2013.

Non è importante pertanto la responsabilità dell’Amministrazione Comunale al fine del riconoscimento dell’agevolazione. Già in regime Tarsu (Dlgs 507/1993), il diritto alla riduzione sorgeva «per il solo fatto che il servizio di raccolta, fosse svolto in grave difformità rispetto alle modalità regolamentari relative alle distanze e capacità dei contenitori, e alla frequenza della raccolta; così da far venir meno le condizioni di ordinaria e agevole fruizione del servizio da parte dell’utente». Invero a ben riflettere, la ratio della tassa, in particolare di quella sui rifiuti, in quanto controprestazione di un servizio speciale, divisibile e individualizzabile, è quella di soddisfare gli interessi generali della collettività e non di fornire delle prestazioni riferibili ai singoli contribuenti.

Tra l’altro, in regime Tari, la legge ha previsto una presunzione relativa di produzione dei rifiuti che ammette la prova contraria a carico del contribuente. Con l’espresso richiamo ai commi 656 e 657 della legge 147/2013, la Corte, sottende che la riduzione debba quindi essere applicata anche laddove non vi sia previsione nel regolamento dell’ente, circostanza questa che se da un lato si protrae verso l’efficienza nella resa dei servizi alla collettività, accende dall’altro, i riflettori su una problematica spesso non tenuta in debita considerazione, quella dei controlli e soprattutto dei costi a essi correlati.

La verifica sull’operato del gestore del servizio (che s’intende, deve essere in ogni caso eseguita), finalizzata ad arginare eventuali richieste di riduzioni, se condotta in modo minuzioso, analitico, potrebbe però comportare altri costi a carico dell’ente che andrebbero a confluire direttamente o indirettamente nel piano economico finanziario, stante come noto, la copertura integrale dei costi del servizio con ulteriori aumenti a carico della collettività.

In ogni caso però, va ricordato che l’onere della prova grava sempre sul contribuente che richiede la riduzione, il quale deve infatti dimostrare che realmente il servizio non sia stato svolto o lo sia stato violando quanto prescritto dal regolamento di igiene urbana.
Che sia il caso di Anzio?