“La geografia è sempre stata la sponda di ogni disfunzione familiare. Credo avvenga appunto per istinto, ancor prima che per emulazione:allontanarsi da ciò che ti fa male.”
Il libro di Bajani “L’anniversario”(Feltrinelli), mi ha ricordato un vino rosso, di quelli che hanno bisogno di aprirsi prima di essere sorseggiati e apprezzati.
Se lo bevi subito il bouquet ti rimanda a un sentore acre, inespresso, ma lentamente, aspettando il giusto momento, quel bouquet sa darti momenti gradevoli e di piena riflessione.
Bajani ha una scrittura fredda, per me, per il mio modo di leggere, ho pensato la stessa cosa con “Il libro delle case” e l’ho pensato con “L’anniversario”, entrato nella cinquina dello Strega.
È chirurgico, razionale, come a voler mettere una distanza tra tutto il dolore provato e subito e la scrittura, e il lettore.
Oggi, con questo romanzo/memoire ho capito perché.
Un libro che ha un’apertura lenta e che solo sul finire dona un lascito emozionale a chi legge, tanto da commuovermi, una frattura dolorosa ancora non superata secondo me, rispetto alla sua famiglia, alla disfunzionalità di cui è intrisa, alle violenze psicologiche e fisiche subite da parte di padre, e la presenza luminosa ma totalmente invisibile di sua madre, succube del marito.
Ecco che Bajani ci accompagna nella sua vita, dentro la sua intimità più intima, in quella separazione cercata, voluta, necessaria per poter tornare a respirare.
Solo chi ha vissuto in famiglie anche lievemente disfunzionali sa quanto sia necessario quel distacco geografico, quella distanza fisica che ti illude poter essere anche emotiva, vale l’equazione del non ti sento, non ti vedo, quindi tutto il dolore esperito non esiste.
Il dolore continua soffusamente ad esserci, poi si trasforma in nostalgia o ricordo e per Bajani a fare da promemoria a quel disegno doloroso ma dolce è il volto di suo figlio, che tanto somiglia alla luminosa mamma.