di Claudio Tondi
E’ iniziata a circolare da metà settembre la notizia della possibile realizzazione in Anzio, località Sacida-Padiglione, di un impianto per la produzione di gas combustibile ricavato dal trattamento dei rifiuti organici (cosiddetto “biogas”).
Alcune prime reazioni, sia di singoli cittadini che di organizzazioni, sono improntate prevalentemente a posizioni critiche o perlomeno perplesse.
Le principali obiezioni attengono a:
– timore che i processi della lavorazione producano danni alla salute degli abitanti;
– sospetto che l’operazione contenga interessi economici personali di amministratori o funzionari comunali;
– dubbi sulla professionalità e competenza della ditta che gestirà l’impianto;
– conseguenze sul funzionamento della raccolta differenziata dei rifiuti.
Per dare ai cittadini elementi utili a formarsi un’opinione informata sulla questione ricostruiamo qui una sintesi di quanto ci risulta ad oggi.
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Attore principale è una società srl di Roma, creata ad aprile 2015 con un capitale di 2.000 euro (duemila) diviso fra sei soci. Nome: Green Cycle Project srl.
Tale società è proprietaria (azionista unica) di una seconda srl di Roma, stessa sede, creata il 31 luglio 2015 con un capitale di 10.000 euro (diecimila). Nome: Green Future 2015 srl
La Green Future2015 ha intenzione di costruire ad Anzio un capannone di 9.000 mq in via Antonio De Curtis (praticamente di fronte alla sede Gioiabus, dietro il cinema Multisala in località Sacida-Padiglione) in cui installare dei macchinari per svolgere le seguenti due attività:
A) separare meccanicamente i rifiuti misti della raccolta urbana per trarne i componenti da imballare e vendere alle varie filiere specializzate (plastica, carta, vetro, ferro, alluminio, ecc.).
L’impianto sarà in grado di trattare 55.000 tonnellate all’anno di tali rifiuti “non differenziati”.
B) lavorare i rifiuti organici (“frazione umida”) per trarne gas metano da destinare sia alla rete di distribuzione che ad autotrazione.
L’impianto prevede di trattare 35.000 tonnellate all’anno di tali rifiuti da cui generare 2,7 milioni di metri cubi di gas.
Il capannone sarà sistemato lungo un lato di un’area di34.000 metriquadri nella quale saranno allocate anche strutture di supporto quali: i serbatoi del biogas prodotto, due piattaforme di pesatura dei camion, una in entrata ed una in uscita, un vascone di scarico del materiale in arrivo, un impianto di lavaggio dei veicoli, strade interne di circolazione, un depuratore delle acque, canalizzazioni per convogliare il percolato della massa umida, i filtri per togliere i cattivi odori all’aria aspirata dalla camera di fermentazione, la palazzina uffici.
Il progetto prevede anche la realizzazione di400 metridi strada pubblica.
Il tempo di cantiere per la realizzazione è dichiarato in 7 settimane.
Il tempo di vita stimato dell’impianto è di 40 anni.
La produzione funzionerà 6 giorni a settimana per 8 ore al giorno.
Il movimento di camion giornalieri è stimato in circa 15.
Esiste una relazione geologica, una paesaggistica ed una sull’impatto ambientale. Tutte concordano nell’escludere infrazioni a norme in vigore.
Ecco lo schema dei rapporti di consulenza creati da Green Future per stilare il progetto:
FE.MA Ambiente srl di Colleferro, (ing. Claudio Vesselli, che è anche socio della Green Cycle) ha prodotto lo Studio di Impatto Ambientale e la “Sintesi non tecnica” del progetto
MCQ di Roma (geologo G.Pucci) ha prodotto la relazione geologica (suolo, sottosuolo, falde, sismicità)
Studio di architettura GR di Olevano Romano (arch. Gianna Ranieri) ha prodotto la relazione paesaggistica.
Non è chiaro chi abbia redatto il progetto ma da una pianta visionata sembra potersi attribuire allo stesso Studio GR.
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Dall’esame dei documenti consultati emergono diversi elementi, alcuni ininfluenti, altri rassicuranti, altri ancora preoccupanti, e infine altri decisamente allarmanti.
Tutti sono ovviamente da sottoporre ad una verifica approfondita ma intanto è bene che i cittadini abbiano più informazioni possibile per evitare sia di ritrovarsi a cose fatte a dover convivere con una eventuale fonte di rischio, sia di farsi trascinare in mobilitazioni senza avere completa cognizione dei fatti in corso. Cominciamo con gli elementi che, se confermati, possono considerarsi rassicuranti se non addirittura positivi.
Elementi RASSICURANTI o POSITIVI
Il tipo di lavorazione non prevede combustione quindi nessuna produzione di fumi o polveri sottili.
I macchinari di separazione del misto producono rumore ma il rumore di esercizio sarà limitato a 80 decibel a1 metrodi distanza dal macchinario; se dovesse risultare superiore saranno presi provvedimenti per assorbirlo.
La parte di impianto dedicata al trattamento delle 35.000 tonnellate di umido verrà alimentata dai soli rifiuti organici degli esercizi commerciali e di quelli provenienti “da mense e da mercati” del territorio comunale.
Non è precisato l’ammontare dei posti di lavoro previsti ma una stima di massima fa pensare a circa dieci unità.
Vediamo ora gli elementi che destano preoccupazione o quantomeno perplessità.
Elementi PREOCCUPANTI o ABBASTANZA NEGATIVI
Affermare di essere pronti a combattere la eventuale rumorosità dei macchinari, come detto più sopra, suscita però anche una perplessità: sembra una dichiarazione di non conoscenza dei macchinari che saranno utlizzati, e questo rende alquanto meno credibili le buone intenzioni espresse.
L’umido verrà trattato all’interno di un ambiente chiuso. Le fuoriuscite di cattivo odore saranno impedite sia mantenendo l’ambiente costantemente in depressione in modo che quando si aprono le porte sarà l’aria esterna ad entrare e non il viceversa, sia filtrando l’aria aspirata con una batteria di “biofiltri” in grado di eliminarne il cattivo odore.
Sui metodi per neutralizzare gli odori della fermentazione dell’umido c’è però una soluzione diversa nello studio di impatto ambientale, che non parla di aspirazione dell’aria e di biofiltri ma afferma che il cattivo odore verrà combattuto irrorando periodicamente la massa in decomposizione. Questo contrasto di soluzioni tecniche getta qualche ombra sull’affidabilità delle dichiarazioni.
La zona di insediamento è certificata dal comune come di tipo D (insediamenti industriali), e in effetti via De Curtis è strada di capannoni; ma poco distante, appena oltre un piccolo campo, vi sono le case delle traverse di via del Sandalo. Le norme cui fanno riferimento i documenti parlano di distanza minima rispettata di 1000 mt da nuclei abitati e di 500 mt da case isolate. Queste distanze però sono tutte da accertare!
Le distanze minime da strade e ferrovie (50 e30 metri) sembrano rispettate. Però nel documento di impatto ambientale si cita a un certo punto “la vicina autostrada A1”; questo evidente incidente da “copia e incolla” toglie molta credibilità all’intero documento.
In una frase successiva dello stesso passaggio si conferma l’impressione che il documento sia stato ripreso da un altro e non sviluppato ex novo: dice infatti che “l’impianto gestisce già rifiuti e presenta già un traffico veicolare”, cosa ovviamente non vera.
L’impatto sulla qualità dell’aria dovuto al movimento dei camion viene minimizzato con la sorprendente argomentazione che “nelle vicinanze c’è già un grosso flusso veicolare rispetto al quale l’apporto dei camion sarà trascurabile”! A parte il fatto che il luogo di insediamento è un’area isolata, la frase della relazione sorprende dando a intendere che le concentrazioni di particolato da gas di scarico non si accumulino!
La distanza da elettrodotti viene data per rispettata ma in realtà un elettrodotto passa lungo il confine nord dell’area.
In una delle mappe della relazione geologica il sito viene indicato con un grosso punto rosso situato a Terracina invece che ad Anzio. E’ chiaramente un refuso del compilatore che ha confuso i due promontori laziali ma testimonia una revisione sommaria del lavoro e sicuramente una certa fretta nel compilarlo.
Ma la maggiore attenzione verte su quanto, se confermato, può destare un vero allarme fra la cittadinanza.
Elementi ALLARMANTI o FORTEMENTE NEGATIVI
Per impedire infiltrazioni di percolato nel sottosuolo e nella falda acquifera si afferma che un’area di lavoro verrà impermeabilizzata e canalizzata verso una vasca di raccolta. Non si dice che cosa succede del liquame finito nella vasca. Inoltre si descrive accuratissimamente come realizzare le sonde sotterranee per monitorare eventuali perdite ma non si dice quanto estesa sarà la parte impermeabilizzata rispetto al totale.
L’impianto si colloca esattamente all’interno del bacino idrografico del Fosso di Cavallo Morto (che include anche il Fosso di S.Anastasio che vi confluisce più a valle) ma le relazioni non ne fanno cenno. Teniamo conto che Cavallo Morto sfocia in mare in piena area protetta (Lido dei Gigli).
Nello studio di Impatto Ambientale vengono citate le aree protette SIC (“siti di importanza comunitaria”) presenti nel raggio di 3 km: Lido dei Gigli, Foglino, Gallinara, Tor Caldara e si esclude che vi siano interferenze con esse.
Non si fa cenno alla zona archeologica di Colle Rotondo situata ad appena 200 metri ed esplorata dalle università romane pochissimi anni fa (2010). E’ zona di rilevanza riconosciuta, possibile che per la relazione ci si sia basati solo sull’archivio dei SIC e non su quello delle sovrintendenze?
Poiché in un capoverso si dice che il materiale da trattare proverrà solo dalla raccolta locale ciò fa supporre che esista un contratto (o una promessa) di fornitura con la ditta fresca di appalto rifiuti, l’Associazione delle imprese Gesam ed Ecocar.
Infine raccogliamo qui per dovere di informazione quei fattori che non paiono obiettivamente avere alcun impatto sui cittadini, si tratta cioè degli
Elementi NEUTRI o INDIFFERENTI
Le dimensioni delle società coinvolte sembrano inadeguate a sostenere oneri e rischi dell’investimento descritto. Trattandosi di una attività formalmente senza alcun rapporto con l’amministrazione sembrano potersi escludere ricadute negative sul servizio Rifiuti in caso di fallimento.
La relazione sostiene che l’impianto non utilizzerà acqua per le lavorazioni ma solo quella minima per i servizi igienici e il lavaggio dei camion. Però il progetto prevede un approvvigionamento idrico in ingresso ed uno scarico in fogna comunale in uscita e fra essi una vasca di depurazione: non è esagerato tanto impegno solo per lavare i camion?
Una mappa del progetto mostra la realizzazione di una piccola rotatoria per gestire ingressi e uscite dei camion ma essendo questa larga meno della carreggiata della strada sembra troppo piccola per tali veicoli.
Nei documenti consultati non si fa cenno al piano economico dell’operazione: costi di costruzione, finanziamenti e soprattutto mancano le previsioni della gestione a regime. Difficile pensare che ci si impegni in una impresa del genere solo “sperando” in una commessa eppure sembra sia proprio così.
Le date di costituzione delle due società sono davvero recentissime; certo non sono di per sé preclusive ma viene spontaneo come minimo collegarle all’appalto di raccolta rifiuti appena ratificato con Gesam/Ecocar. C’è un pericolo di connessione illecita? A rischi del genere si può ovviare solo attivando una stretta procedura di controllo da parte del comune. Il quale, quindi, non potrà dichiararsi estraneo a quanto la ditta che raccoglie i rifiuti fa del materiale raccolto, neppure se questa garantirà un ritorno economico dalla vendita dei riciclabili, anzi soprattutto in quel caso.
Lo studio di Impatto Ambientale dice che non vi sono nelle vicinanze aree di rilevanza storica, paesaggistica e di agricoltura di qualità. Tre affermazioni da verificare.
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IN CONCLUSIONE
A parte la produzione di metano che, se correttamente condotta, non desta particolari criticità al giorno d’oggi, il cuore del problema sembra essere quella parte del piano industriale della Green Future in cui si stima di estrarre in un anno da 55.000 tonnellate di misto circa 12.000 tonnellate di plastica, 8.000 di metallo, 5.000 di carta e 5.000 di vetro, tutto materiale che le filiere di riciclaggio pagano bene. Il rimanente (oltre 31.000 tonnellate) sarebbe quel vero “non riciclabile” che costa parecchio portare in discarica. Il business consiste quindi nel margine fra vendita dei materiali riciclabili e costo di smaltimento dei non riciclabili, margine che deve essere tale da giustificare l’investimento.
Ciò implica per i cittadini di Anzio un rischio molto grave:la Green Futureavrebbe un forte interesse a ricevere rifiuti “ricchi”, pieni cioè di plastica, vetro, carta, ecc. e ciò potrebbe saldarsi ad un comportamento scorretto della Gesam/Ecocar (la ditta di raccolta) che in assenza di rigidi controlli potrebbe tendere ad “arricchire” il rifiuto grigio da passare alla Green Future mescolandovi quello che il cittadino coscienziosamente avrà separato.
Un’ipotesi meno maligna è che le 55.000 tonnellate di materiale siano in realtà quelle dei cassonetti del centro storico, ancora oggi non differenziati: nessun dolo in tal caso ma certo sarebbe l’addio ufficiale alla raccolta differenziata nel cuore stesso della città che sbandiera opinabili drappi blu ad ogni occasione.
Comunque la si guardi la questione posta dalla ventilata installazione dell’impianto di Padiglione è dunque serissima. E lasciare senza risposta i dubbi che solleva può far saltare tutto quel buono che questi due anni di raccolta differenziata porta a porta hanno introdotto nei comportamenti di noi tutti.