Pubblichiamo per stralci le parti riguardanti il territorio di Anzio e Nettuno citate nel Rapporto Mafie nel Lazio 2016, a cura dell’Osservatorio Tecnico-Scientifico per la Sicurezza e la Legalità della Regione Lazio (1° parte).
Un contributo che il nostro giornale vuole dare alla comprensione del fenomeno criminale nella nostra Regione e alla giusta battaglia per la legalità. Una lotta condotta ogni giorno da Magistratura e forze dell’ordine, associazioni antimafia, ma anche da tanti giornalisti coraggiosi. (Cla. Pel.)
(il dossier avrà cadenza settimanale)
Uno «scenario criminale complesso»
“Il monitoraggio effettuato dall’Osservatorio Tecnico-Scientifico sulla Sicurezza e la Legalità, aggiornato al 19 maggio 2016, rileva nel Lazio 92 organizzazioni criminali. Un numero in aumento rispetto al 2015, in cui erano stati censiti 88 gruppi operanti sul territorio romano e nel resto della regione 347. Si tratta perlopiù di “famiglie”, cosche e clan, nonché consorterie autoctone, che hanno operato e operano in associazione fra loro commettendo reati aggravati dal metodo mafioso e con la finalità di agevolare l’organizzazione criminale di cui fanno parte. Sulla Capitale e nel territorio della provincia di Roma, incidono circa 76 clan, 23 invece sono le organizzazioni dedite al narcotraffico, nei diversi quartieri che compongono il territorio capitolino. Come già ampiamente illustrato, a Roma sono significativamente presenti e con un ampio potenziale criminale, le mafie cosiddette “tradizionali” (‘ndrangheta, camorra e Cosa nostra) nel Rapporto sintetizzate attraverso la definizione di “Mafie a Roma”……..
……….”Le mafie tradizionali, hanno storicamente dapprima inviato delle “teste di ponte” sul territorio romano, poi eletto questo territorio come terra di investimenti privilegiati e successivamente dato una dimensione più stabile alla loro presenza sul territorio. Questo è possibile certamente affermarlo in relazione alle cosche della ‘ndrangheta che – sebbene nella città non abbia dato vita ad una locale di ‘ndrangheta – (presente invece, nella provincia di Roma, fra Anzio e Nettuno) hanno delocalizzato gli affari sul territorio romano, operando fianco a fianco, alle camorre napoletane e casertane, presenti qui come altrove con intenti “predatori” e ai “colletti bianchi” delle “famiglie” di Cosa nostra. La “pax mafiosa”, nata negli anni Ottanta è sopravvissuta sino ad oggi, attraversando cambiamenti economicosociali, ristrutturazioni interne dei vertici delle proiezioni mafiose sul
territorio laziale e affrontando la stabilizzazione di cosche nella Capitale perché – spiega ancora il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone, nel corso della presentazione del quarto Rapporto dell’Osservatorio Luiss sulla legalità nell’economia – «a Roma ci sono soldi per tutti e non c’è bisogno di uccidere; Roma non è una città in mano alla mafia ma sono
presenti varie organizzazioni di tipo mafioso. E’ una città troppo grande per una sola organizzazione criminale di questo tipo e quindi si impone una convivenza pacifica”.
Anzio e Nettuno, i Casalesi e le ‘ndrine a sud della regione.
Sorgono a 60 Km dalla Capitale ma sul loro territorio i boss si muovono con modalità tipiche del sud del Lazio. Lo confermano inchieste, testimonianze dei collaboratori di giustizia e alcune sentenze. Anzio e Nettuno, affacciate sul mar Tirreno e ricche di storia, sono al centro degli interessi dei clan delle camorre e delle cosche della ‘ndrangheta. Nel caso di Nettuno, inoltre, la criminalità organizzata è arrivata ad infiltrare il Consiglio comunale che nel 2005 è stato commissariato per grave condizionamento dell’amministrazione pubblica: primo caso di comune sciolto per mafia nel Lazio. L’area, come spiegato nella premessa al presente Rapporto, è stata luogo di insediamento dei boss della mala siciliana. Storicamente, diverse indagini della magistratura – inizialmente coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, successivamente anche da quella capitolina – hanno dimostrato l’interesse del clan dei Casalesi per la Capitale e l’hinterland sino ad arrivare al cosiddetto “Basso Lazio”. La sentenza emessa dalla Corte d’Assise di Latina, per il processo cosiddetto “Anni ‘90”, passata in giudicato, ha attestato nel 2009 il radicamento di questa consorteria nella regione, condannando una costola del clan dei Casalesi per associazione mafiosa, estorsione e altri reati. Numerosi, negli ultimi dieci anni, i “reati spia” commessi in quest’area. Fra questi citiamo il 29 marzo 2008 il ferimento di due persone a Cisterna di Latina: un agguato contro un pregiudicato messo a segno da un commando di quattro uomini, al termine di un inseguimento lungo la via Appia, fra Anzio e Cisterna. Le indagini condotte dal capo della Squadra mobile di Latina coordinate dal vicequestore Fausto Lamparelli e dal questore Nicolò D’Angelo, hanno consentito di individuare, nel giro di poche ore, due dei componenti del gruppo di fuoco: si tratta di Vincenzo Buono, originario dell’hinterland partenopeo, domiciliato ad Anzio e Francesco Gara, calabrese di Vibo Valentia residente a Nettuno, che nel 2003 fu coinvolto e poi scagionato in una inchiesta della procura della Repubblica di Catanzaro sulle attività illegali della cosca di Francesco Marchese, della provincia di Vibo Valentia e di Agostino Ravese (anch’egli originario di Reggio Calabria ma residente da anni a Nettuno). Ravanese, già detenuto, è stato nuovamente al centro di un’altra inchiesta della Guardia di Finanza nel luglio del 2008, per estorsione e usura, ai danni di commercianti di Aprilia, Anzio e Nettuno; successivamente è stato condannato in primo grado dal Gup di Latina a 5 anni per usura, estorsione e associazione a delinquere”
…. continua