“Ci piacerebbe che la rottura fosse un taglio netto. Preciso e chirurgico, d’un sol colpo, come la sciabola che decapita. Invece la rottura è una lacerazione”.
Claire Marin, in “La fine degli amori”, edito da Einaudi,
non parla solo degli amori che finiscono, ma di tutti i legami affettivi che d’un tratto si spezzano, perché la rigenerazione è fenomeno normale e talvolta auspicabile, la sofferenza è umana, non ascoltarla, non abbracciarla e restarne indifferenti è disumano e spesso figlio di una società che ci vuole di corsa anche nel metabolizzare gli strappi.
Il punto cruciale è che solo attraverso questi addii, che siano amorosi, lavorativi, amicali, di fatto avviene una crescita, un cambiamento sostanziale, ci sleghiamo da qualcosa che eravamo per unirci a ciò che siamo. Lasciare un partner è doloroso, ma quando non si cresce più insieme e quindi uno rimane indietro, lo strappo è necessario, affinché l’altra metà possa continuare a crescere, evolversi.
Cambiare lavoro, quando non si hanno più stimoli è funzionale per la nostra esistenza per evolverci e metterci davanti a nuove sfide, nuovi obiettivi, nuovi noi,
Il dolore è di caratura importante, perché perdiamo le nostre certezze o quelle che credevamo tali, perdiamo punti di riferimento, tessiamo nuovi fili, sconosciuti, e ci sentiamo smarriti.
Passa il tempo e ci rendiamo conto che quell’addio era forse l’unica cosa giusta che potevamo dire e che tutto quel dolore si è trasformato in amore per noi stessi ed è qui che rinasciamo.