“Cammineremo sui sentieri di aranceti selvatici. Dormiremo nel giardino dei pompelmi, all’ombra dei profumi amari”.
Inès Cagnati, con Gènie la matta, edito da Adelphi, ci regala un libro prezioso.
Alla fine diventiamo ciò che gli altri dipingono addosso a noi, siamo quei vestiti che gli occhi esterni e tanto lontani da noi ci infilano. Per quante spiegazioni possiamo dare, per quanto impegno possiamo metterci, a nulla varrà, perché siamo come gli altri ci vedono e alla fine arriviamo a crederci anche noi.
Genie non era matta, ma il paese la chiamava matta, perché era silenziosa, perché aveva avuto una figlia a diciassette anni nata da uno stupro.
Genie era stata allontanata da casa da sua madre, perché aveva osato sporcare il buon nome della famiglia.
Genie e Marie, madre e figlia, vivevano in una baracca nella povertà, lei arava i campi, la figlia studiava e anelava un abbraccio di sua madre che però era con gli occhi troppo lontana, immersa e dispersa in un dolore troppo grande da sopportare.
Genie non era matta, aveva solo bisogno di amore e non poteva abbandonarsi all’amore figliale perché lei, Genie doveva rimanere salda.
Conoscerà poi quell’amore, metterà al mondo un altro figlio, ma per l’ennesima volta tutto le verrà strappato e allora Genie impazzirà perché un cuore non può sopportare a lungo così tanto strazio.
Un libro che racconta la potenza delle donne, il garbo, la tenacia, ne tesse anche la fragilità e la purezza di due cuori che attraverso gli inciampi della vita imparano a conoscersi e riconoscersi, imparano a essere famiglia.