Antonio Taurelli: Non riusciremo a cambiare la politica nettunese se non con una partecipazione vera, totale, aperta dei cittadini

Riflessione.

Da due mesi sono fuori Italia per una ricerca di dottorato e mi manca molto la mia Città; tuttavia, devo ammettere che riposizionare lo sguardo da un punto esterno è utile per diverse ragioni. Seguo comunque le vicende che riguardano Nettuno per il tramite di qualche racconto di amici e cerco informazioni sui giornali locali per capire come vanno le cose e tentare di farmi un’idea. Nettuno è commissariata ormai da più di qualche mese. Ho letto l’intervento di uno dei commissari che si lamenta della mancanza di partecipazione: non conosco personalmente il prefetto in questione ma credo che sul punto abbia molta ragione. Quello che caratterizza la nostra Città è una significativa, annosa e preoccupante mancanza di partecipazione politica. Dirò di più: la partecipazione manca anche nelle sue forme più elementari e meno attive ossia informarsi, seguire le dinamiche decisionali, intendere il voto come una valutazione di merito. Mi colpiva molto quando in Consiglio Comunale si votavano questioni importanti e sulle sedie del pubblico non c’era nessuno o quasi nessuno. La domanda che mi veniva spontanea era: su che elementi gli elettori si basano per esprimere le preferenze elettorali che poi esprimono? (Escludo che ce ne fossero molti di più a seguire lo streaming da casa!). Inoltre, mi sono convinto che il livello tendenzialmente molto basso del dibattito consiliare fosse per buona parte ascrivibile alla mancanza di pubblico. È un meccanismo ovvio per cui, se non c’è nessuno che guarda, che giudica, che valuta, chiunque si sente libero di dire e fare qualsiasi cosa (vedi i cantanti sotto la doccia!) e questo processo di disinibizione porta a trasformare le istituzioni in luoghi di un dilettantismo improduttivo indubbiamente poco affine al compito complesso di assumere decisioni.
Le ragioni di questa mancanza di partecipazione sono profonde, in parte sono anche di ordine globale. Sicuramente è sbagliato ascrivere le ragioni della disaffezione pubblica al basso livello del dibattito politico. Il basso livello della politica è una conseguenza della mancata partecipazione e non la causa.
Una causa locale, invece, secondo me piuttosto evidente, è legata alle infrastrutture e all’urbanistica. Poche cose nella vita di un uomo possono influenzarlo come il luogo in cui vive. I luoghi ci parlano e ci formano più di quanto non si creda e forse più delle parole. Una città, la sua forma, il tipo di strutture che ospita svolgono una funzione profondamente pedagogica. Una città di 50mila abitanti che non ha un cinema, non ha una biblioteca, non ha un teatro, non ha un centro per fare conferenze e incontri, in definitiva non ha «infrastrutture pubbliche della socialità», è una città in cui si può crescere tendenzialmente o con un senso di lacerante isolamento o in una prospettiva individualistica, passiva e a-politica (ovviamente ci sono delle eccezioni positive e in controtendenza!). L’aspetto più evidente di tutto questo è nelle nuove generazioni che sono drammaticamente assenti dallo scenario pubblico (in politica, nei partiti, nelle associazioni), anche qui per ragioni variegate e in buona parte anche legate – occorre dirlo – alle necessità economiche e di formazione. Se ne parla poco, ma si sta consumando una significativa migrazione all’estero (o in altre parti d’Italia), un vero e proprio esodo soprattutto di coloro che hanno studiato e questo avviene soprattutto nelle province come la nostra. Il dato, se visto nell’ottica della comunità, è allarmante perché significa che viene sottratta di netto una intera generazione che, cercando lavoro e formazione altrove, lascia un buco di futuro e di rappresentanza nelle istituzioni. Ovviamente non è colpa loro, faccio parte anch’io, per qualche verso, di questo gruppo, ma occorre riflettere su questo e dare quanto più spazio possibile a chi rimane, a chi vuole fare qualcosa qui.

Seguo con curiosità il dibattito politico che ha preso forma a Latina in questi anni e noto con interesse quanto i giovani, a pochi chilometri da noi, siano autonomi, autorevoli e veramente determinanti nelle decisioni, specie nel centro-sinistra. E non è un caso che il dibattito lì abbia un grado di necessario idealismo che sul nostro territorio latita. Il segretario del PD è un ragazzo di 22 anni, la candidata di punta del centrosinistra alle regionali, nonché per due volte consigliera Comunale e consigliere provinciale, ha 25 anni (ed ha preso alle regionali 2.343 preferenze)! Sono dati significativi, la cui comprensione è abbastanza facile se si pensa che, tra le altre cose, Latina ha una università, aspetto questo che cambia profondamente le dinamiche di una comunità, che inietta futuro dentro un tessuto cittadino, che produce cultura e che, soprattutto, trattiene intelligenze sul territorio sviluppando un magnetismo virtuoso. La proposta è stata avanzata più volte anche da noi in campagna elettorale e da molti è stata bollata come irrealizzabile e stravagante, ma continuo ad essere convinto che c’era una parte della soluzione proprio in quell’idea. Se tariamo il dibattito politico credendo che l’unica aspettativa dell’elettore sia colmare le buche, non credo che si accenderà mai un sincero entusiasmo per la partecipazione. Continuo a dire che la politica non può essere schiacciata totalmente sull’amministrazione ordinaria (che pure manca!), essa vive anche di una componente sana e propulsiva di ideale e visione, che è quanto di più serio e concreto possa esserci in un discorso programmatico.
Arrivo al punto. Credo che non riusciremo a cambiare significativamente la politica nettunese se non con una partecipazione vera, totale, aperta dei cittadini e soprattutto dei giovani. Preciso che non sono un rottamatore (non ho simpatia per i rottamatori) o un giovanilista, non credo ideologicamente che i giovani siano per ciò solo migliori dei più stagionati, ma credo che l’assenza dei giovani e delle loro caratteristiche -o comunque la relativa sottoesposizione politica- in quanto tale sia un problema di rappresentanza serio con effetti sostanziali sulla qualità del dibattito.

I cittadini, tutti, non possono più pensare di stare sul balcone e di giudicare la politica da remoto e dovremo cercare nei prossimi mesi (lo dico alla Stampa, lo dico ai partiti, lo dico alle associazioni tutte) di creare contenitori di confronto vero, di creare dei luoghi in cui possa riformarsi una coscienza collettiva, un noi. Serve predisporre occasioni di visibilità in cui chi non ha un pacchetto di voti personali (perché purtroppo è così!), ma ha qualcosa da dare e da dire possa farlo e possa avere una concreta possibilità di essere eletto. Non è uno scioglimento che salva la città dalla mafia, è la presenza di quelle sentinelle ubique che possono essere solo i cittadini, con i loro centomila occhi. In una democrazia, l’unica sentenza capace di azzerare una classe politica e di dare il mandato ad un’altra nuova, diversa, positiva, si chiama elezione. Le idee camminano sulle gambe delle persone e senza quelle gambe le idee rimangono veramente di carta e non ci possiamo più permettere una città con le idee ingiallite e in cui la politica è la solita questione di quattro addetti ai lavori.

Antonio Taurelli