Di Roberto Alicandri
“Disabili condannati a restare a casa, senza lavoro e poveri. Se vogliono essere attivi e lavorare, devono rinunciare all’assegno di invalidità. Se invece vogliono tenersi l’assegno (da fame) da 287 euro al mese per 13 mesi, allora non devono lavorare. Dove per lavorare si intende un lavoretto al massimo da 400 euro al mese per non superare il tetto di reddito annuale, compatibile con l’assegno di invalidità. Una evidente follia che rischia di emarginare ulteriormente migliaia di persone affette da disabilità non grave dal 74% al 99%, impedendo loro di integrarsi socialmente a meno di rinunciare al sostegno a cui hanno diritto.
La questione è riemersa qualche giorno fa, quando l’Inps ha pubblicato un messaggio in cui si dice che dal 14 ottobre 2021 in poi l’assegno mensile di assistenza sarà liquidato, fermi restando tutti i requisiti previsti dalla legge, solo nel caso in cui risulti l’inattività lavorativa del soggetto beneficiario. Quindi stop all’assegno se c’è un lavoretto.
Il messaggio cita due sentenze della Cassazione che hanno dato ragione all’avvocatura dell’Inps. Secondo queste sentenze il mancato svolgimento di attività lavorativa è un elemento costitutivo del diritto alla prestazione assistenziale. In altre parole si ha diritto all’assegno se non si lavora, indipendentemente da quanto si guadagna, altrimenti lo si perde.
Eppure la stessa Inps, fino ad oggi diceva invece che l’esiguità del reddito impediva di ritenere che vi fosse attività lavorativa rilevante. Ovvero, se il lavoro non era stabile e non veniva superata la soglia di reddito minimo personale pari ora a poco meno di 5mila euro all’anno, allora lavoretto e assegno potevano convivere. L’Inps ora fa retromarcia, cancellando cinquant’anni di logica tolleranza. A questo punto solo un nuovo intervento legislativo potrà mettere le cose a posto. Come è evidente a tutti, tranne ai dirigenti dell’INPS ed alla sua avvocatura, si tratta di una situazione inaccettabile. L’invalidità di cui si parla non può comportare il confinamento nella solitudine della inattività e nemmeno la condanna a una povertà, solo in minima parte alleviata dall’indennità che si riceve. Per non parlare della rinuncia ad ogni tipo di indipendenza economica.
Questa novità rischia di essere dirompente tra le migliaia di famiglie che si trovano ad affrontare quotidianamente problemi di salute e di invalidità. Si tratta di una cosa purtroppo molto grave, poiché vengono colpiti i più fragili. Le attività di queste persone con disabilità sono attività terapeutiche o formative e con piccoli compensi, che difficilmente superano il tetto previsto ma che sono fondamentali sia dal punto di vista sociale che economico. Togliere l’assegno di invalidità a queste famiglie è un atto ingiusto ed immorale e bisogna che tutti coloro che possono, politicamente e sindacalmente si mobilitino. Non è accettabile che ancora una volta nel nostro paese le parola inclusione venga svuotata del minimo senso di umana solidarietà per colpa di una assurda interpretazione burocratica”.