Anzio. Macchia della Spadellata: Un danno ambientale mai risolto

Riflessioni di un italiano

La capacità di chi gestisce la Cosa Pubblica è quella di trovare soluzioni ai problemi e non quella di “nasconderli”; soprattutto se i problemi minano l’ambiente e la salute pubblica. Questo non vale solo per chi amministra ma per chiunque siede in Consiglio Comunale perché a fronte della conoscenza di problematiche così importanti si dovrebbe lottare con continuità fino alla soluzione e non solo farne oggetto di interrogazioni. Quest’ultimo modus operandi è di chi ha interesse a mostrarsi e non a risolvere i problemi. Ma andiamo con ordine.
Il più esteso polmone verde del comune di Anzio è la Macchia della Spadellata che coi i suoi 375 ettari a macchia mediterranea è stato riconosciuto Sito di Interesse Comunitario. La proprietà è in parte privata e in parte comunale.
Nell’autunno 2018, grazie a una coraggiosa giornalista, fu evidenziata all’interno della Macchia, sul suolo comunale, la presenza di una “collina artificiale”, che a differenza del “Monte dei Cocci” di Roma, realizzato con le anfore usate in età romana per le derrate alimentari che arrivavano nel porto fluviale e che oggi è un punto turistico, ad Anzio negli anni novanta fu realizzato con una quantità enorme di immondizia stoccata per ben cinque anni dal Comune tanto da diventare una “collina” ricoperta poi di terra.
Essa ancora oggi giace lì, annunciata da una puzza terribile, malgrado sempre nell’autunno 2018 i carabinieri forestali, a seguito di un sopralluogo, chiesero al comune la bonifica del sito. L’unico atto di cui si è a conoscenza è l’attivazione, nella primavera del 2019, della procedura di intervento di bonifica da parte dell’allora dirigente al settore, cosa che però non è avvenuta, e lo diciamo perché il monte della vergogna è ancora lì.
Per completezza riferiamo che anche la Regione Lazio a fine anno 2018, su spinta degli ecologisti e dei grillini di Anzio inserì il sito tra quelli da bonificare ma, ripetiamo, a distanza di quasi quattro anni, l’immondizia è ancora tutta lì.
Facciamo sommessamente notare, infine, che negli anni ‘70 la società Farmaceutica “Recordati” scaricò nello stesso posto, di fronte alla collina della vergogna e a pochi metri da essa, 406 fusti contenenti sostanze altamente tossiche. Fu aperta un’inchiesta che portò alla condanna della ditta Recordati a pagare in via cautelativa 200 milioni di lire per i primi interventi di bonifica; dopo sette anni dal rinvenimento, alcuni fusti furono rimossi da una ditta specializzata mentre la parte rilevante degli stessi fu confinata nel bosco stesso in un sarcofago di cemento. La causa arrivò a sentenza definitiva nel 2011 con il riconoscimento al Comune di Anzio di un ulteriore risarcimento pari a circa 700 mila euro. La somma incassata, tuttavia, non fu destinata alle opere di bonifica perché fu risposto, a quanto pare, che la Recordati oltre al risarcimento doveva provvedere anche alla bonifica.
Questa ulteriore bonifica è mai avvenuta? O i fusti tossici sono ancora lì sotto quel blocco di cemento che non sembra essere il sistema più adatto a contenere l’inquinamento?
Forse la Commissione di Accesso, che non è stata inviata per questo motivo ma per altri, potrebbe comunque dare una risposta definitiva al gravissimo problema ambientale, cosa che i politici locali, di maggioranza e di opposizione, non sono riusciti a fare.
L’unica cosa che hanno messo in campo gli amministratori, prima degli addii di alcuni di essi, è stata una delibera comunale, nell’autunno del 2021, di istituzione della Riserva Macchia della Spadellata – Lido dei Gigli.
E’ lecito chiedersi come si fa a proporre una cosa del genere se prima non si sono risolti i problemi ambientali, non di poco conto, che hanno minato l’ambiente della Macchia della Spadellata?
Se si intende perseguire davvero il bene comune i problemi vanno affrontati e risolti e non nascosti sotto i mucchi di terra.

Michele Russo