“Perché? Chi ti manda via ti vuole bene?Amerí, a volte ti ama di piú chi ti lascia andare che chi ti trattiene.”
Amerigo Speranza, quanto ho pianto con te, quanta vita mi hai trasferito fino a farmela sentire un po’ mia.
Con te ho vissuto il dopo guerra, in una Napoli sgangherata, una Napoli che odora di fame e come dice Maddalena, “la fame non è una colpa ma un’ingiustizia.”, l’ingiustizia che poi ti fa andare lontano, in un’altra città e crescere in un’altra famiglia e sentirla quasi più tua di quella che ti ha visto nascere.
Tua madre, il suo dolore nel mandarti via, ma doveva, perché non aveva soldi e voleva provare a ad assicurarti un futuro migliore, per questo ti ha messo sul quel treno, con altri bambini che poi sono diventati un pezzo di famiglia.
Tu dici che l’amore è fatto di malintesi, io ti dico che a volte quei malintesi sono espedienti per non toccare il dolore, per non sentirlo nostro perché ci farebbe ancora più male e tu questo lo hai capito quando crescendo tua mamma è morta e nonostante tu fossi in giro per il mondo con il tuo violino, lei ti pensava, ti amava, certamente in modo ruvido e imperscrutabile, ma quel cinismo, quel poco contatto, quella distanza le servivano per provare ad accettare la tua assenza e per darti nuova vita.
La vita poi ti rimanda ciò che ti è stato tolto, in altre forme, in altri modi, e quel treno resterà sempre il simbolo del tuo andare ma anche e soprattutto del tuo divenire, divenire Speranza, come il tuo cognome.
Viola Ardone, con “Il treno dei bambini”, edito da Einaudi, ci ha regalato un libro commovente, pieno di fragilità umane e di riscatto.
Leggerlo è un dono che fate a voi stessi.