“Immagina che stai guardando te stesso: basta questo a sentirsi il freddo in corpo per mezz’ora.”
Per qualcuno Il Persecutore di Cortázar (Einaudi) è una sorta di indagine sul tempo che va di pari passo con la ricerca del giusto suono musicale.
È la storia del jazzista Johnny Carter e del critico musicale Bruno, che sta provando a scrivere la vita di Carter e vorrebbe sottoporlo al suo personale microscopio ma sa, conoscendolo meglio di chiunque altro, che Johnny è insondabile, è quasi impossibile interpretarne le trame più intime ed è qui che secondo me si dipana il vero significato di queste pagine.
Il fulcro è la diversità dei due personaggi, Carter talentuoso, poetico, geniale, chiunque lo conosce ne rimane incantato, Bruno è razionale, rigido, incapace di lasciarsi andare alla creatività e non comprende il tormento che si nasconde dentro il jazzista.
Un racconto costruito sul dualismo e sulle maschere, come scrive nella bellissima prefazione Carlo Boccadoro, difendere la maschera significa proteggere la parte più intima di sé stessi, significa anche mettere una distanza col mondo esterno non mostrando la vera natura ma concedendo solo quella parte artistica che forse, se ben letta, può raccontare tanto di chi la produce.
Capire il genio e stargli accanto non è sempre facile, essere geniali e viversi può rivelarsi un’arma a doppio taglio se non si riesce a trovare la giusta misura, il giusto tempo, il giusto suono, si finisce per sentire solo freddo in corpo e lì sei spacciato.
