a cura di Serena Ientile
Vita più facile per gli animali domestici in condominio perchè con l’intervenuta riforma i nuovi regolamenti non potranno più vietare ai condomini di tenerli nei propri appartamenti, ferme in ogni caso le normali regole che governano il vivere nella collettività condominiale. Per il nuovo Legislatore l’animale domestico è considerato dunque al pari di una cosa mobile: ciò significa che da ora in avanti l’animale domestico è paradossalmente uguale a un televisore o a un impianto stereofonico, un bene quindi che nessuno può impedire di tenere nella propria abitazione. Così recita l’ultimo comma del nuovo art. 1138 c.c., che appunto impedisce al regolamento di condominio di vietare di possedere o detenere (anche quello dell’amico, quindi) animali domestici nella propria unità immobiliare.
Si parla in generale di animali domestici, ma i principali interessati dei conteziosi sorti tra i condomini per questo motivo sono proprio i cani e i gatti.
Sul presupposto che le norme del regolamento non possono in alcun modo pregiudicare o limitare i diritti che vengono attribuiti a ciascun condomino dagli atti d’acquisto oppure da altre convenzioni (così continua a recitare l’art. 1138 c.c.), ebbene anche il vietare di detenere animali domestici nel proprio appartamento significa, secondo il Legislatore della riforma, menomare un preciso diritto del condomino di disporre come crede del proprio bene: una diversa clausola da ora in poi deve pertanto ritenersi nulla.
Resta a questo punto da decidere che fine fanno i già esistenti regolamenti che prevedono, tra le proprie norme, anche simile al divieto. La risposta la si deve ricercare c- e la si trova – nei principi generali del nostro ordinamento per cui, in difetto di specifiche disposizioni transitorie dirette a disciplinare anche i rapporti in essere al sopravvivere della nuova norma sostanziale, questa trova applicazione solo dal momento in cui entra in vigore, lasciando dunque inalterato tutto ciò che a essa preesisteva. In relazione al fenomeno della successione delle leggi nel tempo, vige il principio della irretroattività delle leggi, per cui i rapporti sorti nel vigore della precedente normativa continuano a essere da essa disciplinati.
Ancor più nel caso in cui la norma che sopravviene non va a tutelare un interesse di carattere pubblico, come appunto quella che vieta agli animali di stare in condominio.
Così succede allora anche per il divieto di tenere animali (domestici e no) negli appartamenti contenuto nel regolamento di condominio ante riforma, sia esso assembleare o contrattuale.
Quanto al primo, è pacifico che i condomini, con un delibera assunta a maggioranza, possono rimuovere il divieto: se non lo fanno, il divieto rimane, con tutte le conseguenze che ne possono derivare anche ai fini dell’applicazione delle sanzioni di cui all’art. 70 disp. att. c.c. Parimenti dicasi per il regolamento contrattuale, quello cioè approvato con il consenso unanime di tutti i condomini oppure accettato o sottoscritto unitamente all’atto di acquisto della proprietà. Si tratta di un vincolo apposto all’uso della proprietà individuale, ls cui validità è comunque subordinata anche alla sua precisa trascrizione nei pubblici registri immobiliari perchè altrimenti non è opponibile al nuovo acquirente dell’unità immobiliare sita in condominio. Il che significa che per eliminarlo servirà ancora l’unanimità dei consensi.
Il libero accesso agli animali domestici non fa comunque venir meno il diritto di ciascun condomino di usare e di godere a suo piacimento delle cose di proprietà comune nel rispetto del pari diritto di uso e di godimento degli altri. E così, l’usare il cortile o altri spazi comuni per farvi circolare il proprio cane senza la cautele richieste dall’ordinario criterio di prudenza costituisce, oltre che una mancanza di rispetto dell’altrui libertà, una ingiustificata limitazione del diritto che gli altri condomini hanno sui medesimi spazi. Del pari dicasi quando l’animale viene lasciato libero di scendere o di salire le scale senza alcuna custodia, così da mettere in pericolo l’incolumità di coloro, condomini o terzi, che si trovano in quel momento sulle scale o sui pianerottoli.
Particolare rilievo assume invece il problema riguardante la possibilità di far uso dell’ascensore con gli animali. Nel silezio di uno specifico divieto contenuto nel regolamento anche di natura assembleare, l’inibire a un condomino di usare l’ascensore con il proprio cane può trovare legittime motivazioni solo di ordine igienico sanitario, da valutarsi di volta in volta a seconda della concreta fattispecie che si può presentare.
Uguale ragionamento porta a giustificare la limitazione al numero degli animali che il singolo condomino può detenere nella propria unità immobiliare, superato il quale appare anche leggittimo l’intervento del giudice con il conseguente allontanamento degli animali in esubero e il loro affido a enti specializzati.
La nuova disposizione inserita nell’ultimo comma dell’art. 1138 c.c. non impedisce in ogni caso di richiedere l’intervento del giudice quando l’animale sia fonte di immissioni di rumori o di odori tali da cagionare, per la loro frequenza e intensità, malessere e insofferenza anche a persone di normale sopportazione: il continuo abbaiare di un cane o l’odore dell’animale stesso e dei suoi bisogni fisiologici possono diventare intollerabili e quindi seriamente danneggiare l’equilibrio psico-fisico di una persona.
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