“Questo è ciò che è, o dovrebbe essere un processo: all’inizio si depone la sofferenza, alla fine si rende giustizia”.
Torna in libreria Emmanuel Carrère con V13, edito da Adelphi e lo fa con la forza dirompente a cui ci ha abituato.
Non è stato facile leggere questo libro, ricordo come fosse ieri quel 13 Novembre 2015 quando in televisione tutte le reti annunciavano l’orrore del Bataclan, lo Stade de France e bistrot limitrofi alle aree colpite dai terroristi.
In alcuni momenti ho dovuto sospendere la lettura, troppo il dolore, troppe le riflessioni.
Carrère mette nero su bianco tutto il processo giudiziario sotto forma di cronaca, a cui lui in prima persona a ha partecipato come inviato dell’Obs.
Nove mesi dentro quell’aula di tribunale dove ha ascoltato le vittime, gli imputati e la corte.
Una cronaca giudiziaria colma di sospiri, di pathos, di brutale resoconto e la percezione vivida che per quanto gli imputati siano stati condannati, non fosse abbastanza.
Mi sono immedesimata in quelle persone che uscivano per godersi un concerto e si sono ritrovate massacrate, uccise, i sopravvissuti che lottano col senso di colpa dell’avercela fatta. Mi sono immedesimata con la Corte, che ha dovuto ascoltare gli imputati mantenendo fede al giuramento secondo il quale ogni essere umano ha il diritto di essere difeso e quindi gli avvocati della difesa che hanno lottato come leoni pur sapendo che i loro assistiti avrebbero ricevuto pene severe.
Mi sono immedesimata nelle famiglie, nello slogan contro l’odio, nel cercare di capire come si possa perdonare tanta violenza.
No, non mi sono immedesimata in un gruppo estremista che in nome di Dio è riuscito fermare il battito di una nazione intera, paralizzando il mondo rimasto col fiato sospeso.
Non ce l’ho fatta, perché nella mia banalità non riesco ancora a osservare un punto di vista che preveda spargimento di sangue, odio e violenza in nome di Dio.
Quanti concerti visti, quante cene fuori casa consumate e mai una volta il pensiero che in un momento così tanto felice, la vita potesse fermarsi in quel preciso istante, ci è balenato per la testa.
Un libro che lascia davvero poco spazio all’immaginazione, un libro che fa sentire impotente il lettore, lo coinvolge e lo lascia a brandelli.
Il V13 rimane un ricordo vivo, come tutti gli atti terroristici a cui l’umanità ha assistito ed un pensiero fisso si insinua invetabilmente, solo la Resistenza può salvarci, quella della vita sopra la morte.