“Bisognerebbe potersi immergere ogni giorno in una pozza d’acqua nella quale, stretti in un abbraccio, sciogliere per un po’ il peso della vita.”
Ada D’Adamo ci consegna il suo testamento “Come d’aria” edito da Elliot.
Quando chiudi un libro come questo hai bisogno di lunghi respiri prima di metterti a scrivere, perché sei invaso da emozioni contrastanti e ci vuole tempo per permettere a tutto quell’emotivo di fluire senza nodi.
Una lunga lettera, che Ada d’Adamo scrive a sua figlia Daria, una ragazza di sedici anni affetta da una grave disabilità.
Gravità. Si apre così il libro, ponendo l’accento sul senso di gravità come stare in piedi e sul senso di gravità come condizione degenerativa fisica e mentale. Corpi, siamo corpi, che riescono a comunicare nonostante la distanza, nonostante l’assenza di un linguaggio verbale, perché poi c’è una lingua che va oltre il suono, quella del sentire, di una madre che ascolta i bisogni di una figlia attraverso l’istinto.
Ada e Daria e poi Alfredo, il marito. Tutto contenuto nel nome ADA, che cerca di resistere agli urti forti della vita, che tenta di rimanere in piedi, barcollando e aggrappandosi all’unica flebo possibile, l’amore per sua figlia.
Ada scoprirà di avere un tumore, sarà degenerativo, renderà tutto più complicato, perché la malattia la vedrà infiacchirsi, indebolirsi, ma Ada lotta fino alla fine.
Una lettera traboccante di amore, di straziante amore e di pelle, di contatto, di bisogno. Una lettera delicata, intima, vera che parla con lucidità di disabilità, di malattia, di senso di colpa che ha saputo trasformarsi.
Ada d’Adamo ha scoperto il giorno prima di morire che il suo libro era nella dozzina del Premio Strega.
Ciao Ada, ora sei come d’aria.