“Alta definizione”, trovare se stessi non è poi così difficile…

di Federico Caporali

Quando si perde la speranza nelle cose, tutto sembra prendere una piega diversa: ci si sente tristi, isolati, non compresi, insomma, a meno che non si voglia prendere  la vita di petto e trasformarla di nuovo in quel circuito pieno di cose, di persone, di colazioni e di finti saluti alle serate inaugurali, ci si deve convincere che le dinamiche sono così e non le si può “cambiare“. Cambiare è difficile, capire lo è ancora di più; per quanto i due concetti siano correlati a volte prendono la geometrica forma di due rette parallele: camminano per tempo immemore l’una accanto all’altra senza mai incontrarsi. Momenti di assoluta negligenza. Da fuori non è che che lo spettacolo sia dei più belli, già ci vedo in pantofole e caffellatte inabili ad uscire dalle notturne stanze della nostra esistenza incapaci di compiere il ben che minimo gesto; ma questa, come direbbero i maggiori sceneggiatori degli anni ottanta, è un’altra storia . Il libro che vi presento questa settimana ha come protagonista un ragazzo in età da liceo che non sta per nulla bene. E’ americano, ebreo (ma di quelli ricchi) e la sua famiglia ha un solo ed unico scopo: essere benestanti senza far capire di esserlo. Opera Prima, o meglio, romanzo di formazione del trentenne americano Adam Wilson “Alta Definizione” ci catapulta nell’entroterra del Nuovo Mondo e ci fa scoprire una delle realtà in assoluto più numerose del nostro caro emisfero contemporaneo: le persone inabili a decidere cosa fare della loro vita. Sarà una frase scontata ma fuori ogni dubbio la più efficace.  Ispirato dal giovane Holden, il testo ha come protagonista Eli Swartz che, come descrive molto efficacemente la quarta di copertina, è un perdente che dopo il diploma rinuncia a proseguire gli studi e scivola in un limbo post-adolescenziale fatto di film porno e di marijuana. Sua madre è depressa e come se tutto questo non bastasse vive anche nell’ombra di un fratello fin troppo brillante per gli standard di tutta la famiglia. L’unica cosa che lo fa arrivare a fine giornata è la sua unica, momentanea passione: la cucina. Passa intere giornate sperimentando accostamenti di cibo che sono solo un paliativo della sua triste vita. Tutti i suoi compagni sono andati al college, hanno cominciato a lavorare o addirittura stanno per fidanzarsi ufficialmente. Lui, misero reietto della società, rimane lì, vestito di nulla e di vestaglia ad assaporare l’intenso retrogusto della sconfitta di una battaglia che non ha ancora iniziato a combattere. Per quanto sia difficile pensarlo, Eli non è stupido, non lo è affatto, la sua dote più grande, ripensandoci bene, non è l’arte culinaria, bensì una lucida capacità di analisi per tutto quello che quotidianamente gli scorre sotto l’occhio sempre vigile. “E’ uno strano mix di depressione, una voce che racconta se stesso facendo ridere e piangere senza alcuna ambizione. Riesce a guardare ciò che lo circonda e vederne le crepe, la tristezza e la solitudine. Le apparenze e le ipocrisie. Senza giudicare”.

L'autore Adam Wilson

Molti sono i passaggi degni di nota del libro, scritto con acume, dedizione e passione; proprio come quello della prima pagina dove decide di introdurre sua madre: “Ma forse non è dalla mamma che dovrei cominciare, è da lei che tutta questa roba del romanzo di formazione inevitabilmente germoglia e poi sboccia timida, come le azalee pallide che la Signora Todd piazzava sul portico tutte le primavere ma poi non innaffiava mai, lasciando che ci provasse la pioggia a lasciarle crescere, a farle venire su dritte per ricevere la luce del sole, proprio come il bolso e costante bagliore della televisione provava a fare con me; e fallivano entrambi”. Una vita in alta definizione per il nostro caro Eli, fatta di programmi spazzatura, di televisioni all’ultimo grido e citazioni degne di un grande esperto cinematografico. La scrittura è dinamica e inframezzata da capitoli destinati a descrivere tutti i componenti della sua famiglia e di tutte le persone che, come già detto, ruotano attorno a lui. La trama, in parole molto povere, si compone delle sue giornate, dei suoi momenti di lucidità, delle sue passeggiate nelle cantine delle case dei suoi “amici“, di ragazze e di appuntamenti allo scopo di completare la sua maturazione sessuale; il tutto senza dimenticare le “persone“, teoricamente, più importanti della sua vita: “Quando finalmente ricevetti una risposta da Jennifer, erano passati due mesi. Io e mamma vivevamo in un appartamento moquettatissimo affacciato sulla Route 9. La sera ci piazzavamo di fronte alla tv, mezzi ammutoliti, mezzi addormentati davanti a polizieschi, telefilm ospedalieri, repliche di sit-com o qualunque cosa avesse risate registrate o una colonna sonora techno abbastanza forte da coprire la realtà della nostra esistenza condivisa e superflua“. La morale del libro è “ben chiara” e si trasfigura in uno specchio (o schermo) che riflette quello che siamo ma non quello che proviamo. E’ un libro che scorre a tratti  tranquillo come un ruscello in primavera e a tratti lento come il magma appena fuoriuscito da un vulcano in eruzione desideroso di arrestare il proprio percorso e finalmente di raffreddarsi nelle acque di un mare qualunque. “Alta Definizione” è un libro aperto a tutti quelli che vogliono capire la realtà vista con gli occhi di un adolescente, un adolescente fatto di paure, di esitazioni, di compromessi e di dilemmi ma pur sempre convinto che laggiù, da qualche parte, forse in fondo alle acque profonde del suo inarrestabile circuito cognitivo, ci possa essere la soluzione che farà in modo da proiettarlo in quella che molti chiamano, ingenuamente, l’età adulta. “Finale possibile numero 19: chiamatela pure mancanza di fantasia, ma ho esaurito i finali. I film li ho visti, ho recepito le loro goffe morali, i consigli deliranti, ho imparato tutto quello che dovevo imparare, l’ho disimparato, l’ho reimparato con corredo di eccezioni che non la confermano, asterischi, note a margine, note in calce, a volte più sottili, a volte meno”. Leggete questo libro e capirete che la “misera” realtà non è altro che un insulso suppellettile che arreda una graziosa stanza in stile finto Rococò.