di Raffaele Panico
Roma, quartiere Trionfale in via Fani alle nove di mattino del 16 marzo 1978 vennero uccisi cinque agenti della scorta Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Francesco Zizzi, Raffaele Iozzino e rapito il presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro. L’operazione terroristica militare avviene a 30 anni di vita politica repubblicana, dal primo gennaio del 1948, entrata in vigore la Costituzione dello Stato.
Il presidente della DC doveva andare alla Camera dei Deputati per la fiducia al Governo Andreotti che vedeva l’ingresso del Partito comunista nella maggioranza programmatica parlamentare. La FIAT 130 con a bordo Aldo Moro e l’auto della scorta vennero bloccate in via Fani, all’incrocio con via Stresa dal commando di terroristi, immediatamente si scatena l’inferno in pochi secondi cadono sotto il fuoco di precisione 4 uomini, un agente venne ferito e morirà dopo poche ore. La vita di Aldo Moro sarà legata al lungo sequestro di 55 giorni. L’operazione è precisa e fulminea, i terroristi preso in consegna Aldo Moro ripartono su diverse auto e si perdono le loro tracce. Alle 9 e 3 minuti arriva la prima telefonata anonima al 113 che informa di una sparatoria in via Fani, sul luogo dell’agguato si portano numerosi funzionari dirigenti dello Stato e forze dell’ordine, in pochi minuti vengono predisposti diversi blocchi all’interno della città. Da Pratica di Mare decollano gli elicotteri che sorvolano la capitale; 20 minuti dopo circa viene individuata la FIAT 132 utilizzata dai terroristi e abbandonata in via di Licinio Calvo. La rivendicazione ufficiale delle Brigate Rosse giunge alle 10 e 10 minuti, circa un’ora dopo l’eccidio della scorta e il rapimento di Moro con una telefonata al centralino della sede romana dell’agenzia stampa Ansa. Pochi minuti prima una telefonata alla redazione milanese dell’Ansa, altra telefonata anonima, avvertiva che le Brigate Rosse avevano portato l’attacco al cuore dello Stato. Nel 1978 le notizie venivano solo dai telegiornali della TV di Stato. Il “caso Moro” è stato, tra gli eventi di portata mondiale nella seconda metà del XX secolo, tra i più significativi di un mondo diviso dalla Guerra Fredda. È un intrigo internazionale ancora avvolto nei misteri e assume una rilevanza di portata storica esponenziale, molto più importante al confronto con il precedente assassino di John F. Kennedy. Oggi, le notizie sono diramate da interconnessioni di reti, con una visione diretta e da un videotelefonino. È stata una ferita profonda inferta alla vita democratica della Repubblica. Lungo tormento che finiva il 9 maggio quando il corpo di Moro venne fatto ritrovare in via Caetani. Si diffuse un sentimento di unità nazionale quel giorno, cambiò improvvisamente la missione del nuovo governo. Il governo doveva combattere tanto il terrorismo quanto cercare di ritrovare in vita Moro. Il Governo ottenne la fiducia a tempo record di quasi tutti i partiti. L’ampia e immediata fiducia era frutto di un clima di emergenza. Il governo Andreotti nasceva con la formula della Solidarietà Nazionale, ottenne fiducia incondizionata per un anno, dopo la sua funzione venne considerata superata.
Dal 1978 al 1982 la Repubblica italiana ha vissuto una serie di attentati, uccisioni, sequestri, rapimenti: il caso Moro, il caso Emanuela Orlandi, l’attentato al Papa, l’“apparizione” e le dichiarazioni di Ali Agca del gruppo Lupi grigi, il caso Ustica, la bomba alla stazione di Bologna ed altre vicende di terrorismo, uccisioni di magistrati, forze dell’ordine, semplici cittadini e giornalisti. Il caso Moro è il punto di non ritorno, anni del doppio binario, cosiddetti anni di Piombo e il trend negativo del terrorismo a mezzo stampa degli scandali e della mala-politica, uno fra tutti, ricordiamo allora lo scandalo Lockheed. (foto di R.Panico)